Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                               Pág. 65

Lettura di Viajero ante su tumba

Flavia GHERARDI

(Università di Napoli Federico II)

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      La poesia che si offre al lettore nella forma e con la delimitazione di un sistema conchiuso di componimenti sembra contenere in sé l’invito implicito ad adottare come precisa modalità di fruizione quella del percorso guidato, all’interno del quale i singoli componimenti possano fungere da tappe intermedie del disegno poetico complessivo. Tale modalità si rivela quanto mai efficace se applicata ai versi qui presentati da Claudio del Moral, in quanto la lettura del «tríptico» plasmata su un «recorrido» per tappe successive coincide con l’istanza ‘odeporica’ promossa dal contenuto dell’opera stessa e, pertanto, si rivela utile a svelare quel punto di particolare coincidenza tra principio compositivo di fondo e idea cardine della creazione che è alla base della sua fruizione estetica. Ciò senza dimenticare, tuttavia, che ad ognuno dei suoi destinatari la poesia accorda sempre il privilegio di stabilire con essa un’alleanza esclusiva, per quanto transeunte, ragione per la quale la lettura proposta di seguito non può che candidarsi a costituire una sola delle tante ‘alleanze’ possibili.

      Come annunciato dallo stesso titolo di apertura, i versi offrono al lettore di condividere un’esperienza di incantagione, la stessa che ha indotto l’io poetico ad intraprendere un’avventura di cui un’illustrazione su «retablo» fornisce fedele rappresentazione. Allo spettatore eletto a testimone (nonché compagno di viaggio dell’io visitante) viene dunque additata, nella parte centrale di tale «retablo», la scena epifanica della ‘visita’ oracolare [1]. Dell’eroico io protagonista viene immediatamente offerto un ritratto [2]: esso prende abbrivo, quale atto iniziatico, dal «nombramiento», che è in realtà un «autonombramiento» («me doy nombre de Cadmo de Jaén»), in certo modo, l’investitura che qualsiasi avventura epica prevede quale sua condizione preliminare. Il nome di Cadmo, unito all’indicazione spaziale: «que habita en libro sexto de Virgilio», offre coordinate chiarissime rispetto a ciò che è oggetto di rappresentazione. Inoltre, l’articolazione di tali riferimenti con l’immanente presenza dell’illustre (ma pur sempre parodica) figura del cavaliere della Mancha regala una confortante egida sotto la quale allogare l’intera composizione: lo stato di «encantamiento, ensoñación y ensimismamiento» che presiede all’esperienza di quest’io. La cooperazione dell’archetipo epico cervantino, tuttavia, non partecipa dell’elemento oracolare, tanto essenziale, invece, all’esperienza tradotta in questi versi, la cui idea portante, difatti, è

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