Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                               Pág. 71

Flavia GHERARDI

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intimamente assimilata dall’autore, dei poeti e pensatori greci) e il paradosso è che, qualunque sia la forma del gioco («dados», «ajedrez», «naipes»), il concorrente con cui avviene il confronto, la Morte, avendo conferito all’io la sua stessa natura spettrale, dimostra di avere già in mano la partita. Il gioco non può che concludersi con un simbolo preciso: il «clavo» che, infilzato tra i solchi di una mano che è come tavola di petra, è il sigillo che chiude la sepoltura: quella medesima tavola con funzione di lapide, tuttavia, è anch’essa condannata a un destino di erosione. A questo si riduce lo spazio materiale disponibile al visitatore affinché rediga la sua ultima dichiarazione di volontà: «déjame aquí» [5], perché nell’autoconsegna al destino risiede l’unica garanzia di continuazione (di ricomposizione, se si vuole), di riformulazione oracolare di quell’opera eternamente compiuta e al tempo stesso perduta che è l’esistenza: «para que en ti me lleves».

      La visita sembra conclusa. Non per il lettore, però, al quale va segnalato ancora qualche punto per orientarsi nel suo percorso. Si sarà notato che tutta la progressione interna alle poesie presentate è disseminata di riferimenti chisciotteschi; anzi, la presenza di tali elementi si intensifica in questa parte finale, costituendo una sorta di chiave alternativa o complementare alla generale lettura offerta dei testi. Il richiamo all’opera dell’«hidalgo» ha valore sia, come appena indicato, per l’agevolazione che essa offre alla funzione ermeneutica, sia per la connessione che mantiene con l’‘occasione’ della composizione del «retablo» da parte dell’autore, costituendone probabilmente il fomite diretto. La scelta di dare conto di quest’aspetto solo in finale di presentazione è stata dettata dalla preoccupazione di fugare nel lettore il rischio di sovrapposizioni di senso troppo immediate o troppo forti con l’omologo chisciottesco le quali avrebbero impedito al «viajero ante su tumba» (che, si scopre alla fine, è proprio «un primo humanista» [6]) di proferire con voce stentorea il racconto del suo personalissimo «cumplimiento de la palabra». E dunque vale ora la pena sottolineare, sul versante dell’occasione, che l’esperienza di «encantamiento» su cui si intessono i versi considerati unisce la figura dell’autore, sognante poeta prossimo al compimento dei cinquant’anni (giustificazione prima e ultima del Retrato 49 posto nella «hoja central») a quella dell’ «hidalgo», coetaneo (coincidenza rafforzata dalla celebrazione del centenario) e dall’animo parimenti rêveur. Il dato più essenziale, tuttavia, è costitutito dal fatto che l’integrazione del

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