Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                               Pág. 70

Flavia GHERARDI

Portada             Índice             Página anterior             Página siguiente

La sua «voz» universale si sostituisce alla voce oracolare primigenia: è l’atto di consegna al nulla decretato dal «desmembramiento», la riduzione di sé ad «armas rotas» di cui nessuno potrà disporre (o «heredar»). Quanto cruda appare questa rivelazione di spettralità! E quanto maggiore è il «desaliento» per la solitudine sperimentata nella prova: nessuna Anticlea (né nessun Anchise) è intervenuta a sancire o a condurre l’incontro col vero, eppure l’impresa sembra glossare proprio le parole di quella madre per la quale «ésta es la condición de los mortales cuando fallecen: los nervios ya no mantienen unidos la carne y los huesos, pues los consume la viva fuerza de las llamas tan pronto como la vida desampara la blanca osamenta, y el alma se va volando, como un sueño».

      Se l’esperienza di insomnium si tradurrà in frustrazione o salvezza per quest’io, non è dato sapere. La distanza che lo separerà dal vecchio albergo (il corpo) sarà colmata (popolata) dalle sostanze della condizione presente: la «ceniza», la «luz» da un lato, le «lágrimas» e la «lluvia» (per sinestesia: grigiore, assenza di vita), dall’altro.

      Il visitante ha così decriptato le cifre del proprio destino. La rivelazione trova ora la sua oggettivazione nella tappa finale del cammino, nella quale l’io viene condotto direttamente al testimone materiale della sua scoperta: «La tumba». Se ‘tutto è morire’, sembra esservi scritto, ecco allora spiegato perché l’esistenza non tende verso un punto finale, ma come un serpente uròboro si avvolge in spirale e prende a divorare se stessa. Il segreto, sembrano ancora decretare i versi, sta nella tensione continua tra il Destino, dal carattere già preordinato e per questo ineluttabile, scritto in una «tabla» (in altri termini, la lapide riservata al «viajero» e che una volta doveva essere quell’illusorio «pergamino de mar», ancora da scrivere), e l’Azar, il Caso (il Caos) certamente imprevedibile ma non meno ineluttabile. La tensione tra queste due componenti che si contendono l’esistenza umana si scarica nell’unica forma di condensazione possibile: la leggerezza del gioco unita alla pericolosità dell’azzardo. Nei distici che compongono le singole strofe di quest’ultimo componimento tale tensione trova espressione nell’adozione sistematica dell’uscita piana del primo verso (che si potrebbe associare al carattere preordinato e governato del destino) e dell’uscita tronca del secondo verso (ricollegabile all’improvvisazione caratteristica del caso). Il vivere è dunque una scommessa, un azzardo (potendo in ciò ravvisare la lezione, più

(Continúa en la página 71)