Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                               Pág. 12

Marco CIPOLLONI

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Barbatus descrive la crudele relazione di potere tra poeta e poesia, creatore e creatura, rovesciando con freddo furore il mito romantico dell’arte che vampirizza e divora la vita, Gyps Fulvus può essere letta come una spietata descrizione dei rapporti tra poesia e critica. La critica, onnivora e muy carroñera, è disposta a metabolizzare l’intero Parnaso, spolpando senza pietà e senza sensi di colpa il cadavere di ogni genere di versificatori. Senza posa, i critici girano in cerchio sul Parnaso, aspettando pazienti che la montagna tradisca chi la sfida. Non importa che tipo di versi uno scriva. Nel momento stesso in cui crudelmente li abbandona “Los buitres leonados se los comen”. La poesia-mucca (tradizionale, oblativa e consolatoria, con tanto di campanaccio), la poesia-pecora (di movimento, tutti insieme dietro il manifesto, e guai a chi si distrae), la poesia-cavallo (selvaggia, provocatoria e travolta dagli eccessi dell’ispirazione), la poesia-cervo (nobile e ferita dalla crudeltà e dall’imperizia umane), la poesia-volpe (speculativa e disonesta, avvelenatrice e avvelenata), la poesia-uomo (stolidamente sportiva e ansiosa di trascendenza), e persino la stessa poesia-avvoltoio (l’antipoesia di Binns, spolpata dalle sue stesse fonti di ispirazione e intossicata da ciò di cui si è nutrita) finiscono fatalmente per scivolare in un calanco ed essere piluccate dalla critica (queste pagine potrebbero, ahimé, esserne un esempio). La strategia favolistica che identifica i diversi tipi di poesia con una serie di animali è dispiegata al limite della glossa e della didascalia dalle corrispondenze biunivoche di El prestigio de los pájaros, dove i poeti famosi sono esplicitamente abbinati agli uccelli che, nelle antologie scolastiche, li hanno resi famosi. Il “nightingale” dell’ode di Keats, le “oscuras golondrinas” di Bécquer, la “alondra” di Asturias sono i beni rifugio di questo bestiario lirico, gli uccelli che la storia della letteratura ha fatto capaci di librarsi nell’aria all’altezza delle umane illusioni e delusioni, proprio come la paloma del celeberrimo bolero o il passero solitario di Leopardi. Comparando così alti voli con la pazienza senza cuore delle “aves carroñeras”, una “novia” pragmatica (le “novias” dei nostri tempi sono irrimediabilmente pragmatiche) non può fare a meno di chiedere al poeta Binns perché mai sprechi il suo tempo con gli avvoltoi. Ponendo questa domanda, il personaggio della “novia” finisce per mediare, suo malgrado, la condivisione, ironica e parziale, dei simboli e dei generi passati in rassegna, consentendo, una volta di più, l’autoinserimento di Niall Binns nel novero della tradizione lirica di cui si dichiara avvoltoio, cioè, ad un tempo, liquidatore e parassita. Proprio questo è

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