Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                              Pág. 68

Flavia GHERARDI

 

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«Hoguera me darás, y sepultura». Eroe, oracolo, oggetto della prova: è sempre l’io poetico, verso il quale tutto converge, si integra e si fonde. In tale coacervo di identità sovrapposte risiede l’originalità della creazione del poeta, autore di un incantamento che si lascia dietro, superandoli, miti e archetipi esemplari.

      La spirale che l’io genera intorno a se stesso rende impossibile l’atto di ‘fondazione’: il seme non mette radici, il remo con cui egli traccia la sua rotta annaspa nell’andito del periplo, stenta ad essere conficcato nella terra da consacrare all’avvenuta conquista. Tuttavia, anche se stretto nella morsa della vertigine, l’io avanza nel suo forzoso cammino: nell’arco temporale tumultuosamente marcato da un’alternanza dei verbi al passato e al presente («precipité… reconoces… arraiga… aproaba… soy») e dal contrasto fortemente ravvicinato degli avverbi «ahora» e «nunca» (vv. 2–3 della I quartina); ancora, nello spazio sempre più delimitato anche fisicamente (quel «lugar» imprecisato del componimento precedente ora si specifica come «zaguán» e, poco più avanti, «umbral de cueva» e poi «entrada de abismo» etc.), la «consigna» a cui inizialmente rispondeva l’io ora cede il passo a un «designio» supremo, che all’io offre riparo ai piedi di un’impronta o di un’ombra [3].

      Questo nuovo spazio è, inoltre, l’occasione di una ridefinizione (esplicita nel cambio notevolmente avvertito tra le prime due quartine e la terza col monostico finale), stavolta, però, in senso opposto all’autoritrattto-«nombramiento»: non prevale più il «soy» della prima persona ma la condizione passiva dell’«haces de mí» e «me darás», come a dire che la figura-compimento del poeta abroga per un attimo la sua funzione e, come era emerso in precedenza dal gioco di sovrapposizioni, rivela se stesso quale oggetto-compimento: egli è ora la «calavera» che offre inchiostro alla creazione, al canto (la ‘poesia’) della sua ‘intima rapsodia’ [4].

      La comparsa del teschio–calamaio anticipa la nuova tappa che sta per offrirsi al visitante. Ad essa corrisponde ancora un cambio di strofe: quartine e terzine alternate, come a voler sottolineare una differenza di contenuto al loro interno: i due verbi al futuro, «poblarán» e «verás», caratterizzano le due terzine (la cui rima assonante ne aumenta il coefficiente distintivo), costituendo i momenti residui della predizione o della prefigurazione. Il distico finale, differenziandosi dalle sezioni anteriori, offre la chiave dell’azione-creazione: la condizione essenziale al compimento del ‘deber’, nonché all’approdo alla probabile dimora in un ipotetico Eliseo, vero preludio alla luce

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