Adarve..., n.º 1 (2006)                                                                                                                               Pág. 66

Flavia GHERARDI

Portada             Índice             Página anterior             Página siguiente

quella di un io promosso, ‘chiamato’, alla dimensione epica da un oracolo: di una chiamata, dunque, si tratta, di un precetto da realizzare, una risposta da dare. Quest’io poetico assume così la qualità e le funzioni della figura–compimento di una pre–figurazione; o meglio, è a una parte scissa del sé (il ‘tu’ con cui esso interloquisce) che viene assegnata identità precipua affinché, con funzione vicariante, realizzi la missione. Così come a Cadmo (non è difficile cogliere la coincidenza acrostica con ClAudio Del MOral, l’autore, rafforzata dall’allitterazione della ‘d’ all’interno del v. 2) l’oracolo di Delfi intimò la ‘fondazione’ della città di Tebe; così come ad Enea (anagramma parziale di Jaén che, inoltre, è il luogo di nascita dell’autore: l’acuta acrobazia perifrastica conduce in tal modo al nostro «Cadmo de Jaén») fu predetta la fondazione di Lavinium, culla della civiltà imperiale romana, allo stesso modo l’oracolo primordiale parla a quest’io chiedendogli di infrangere la «sombra», di squarciare le tenebre che ricoprono l’abisso e di dar ‘principio’ alla luce, di ‘creare’; ma, si comprende, l’oggetto da creare non è che se stesso; egli stesso, vale a dire, è l’oracolo da cui promana. Allegoria dell’homo faber che, artigiano del proprio essere, esclama: «punzón para tu arcilla me has llamado». Ma c’è di più. Quest’io epico possiede anche la misura secondo cui ‘far luce’: è la misura dello gnomone, l’orologio che calcola il tempo secondo gli spostamenti circolari del sole, mentre con il suo cerchio tenta di coniugarsi la ruota dell’alfabeto (lasciato da Cadmo ai greci come insegnamento, esso costituisce la forma primigenia di comunicazione del creato). Certamente, i dettagli dell’esperienza che l’io sta per affrontare appaiono in forma quasi criptata, per cui al lettore spetta cogliere le cifre sparse a cui è sospeso il senso complessivo di tale esperienza; eppure, all’interno di siffatto sistema di segni non è impossibile ricostruire uno sviluppo quasi discorsivo nella sequenza delle immagini: se si dispongono in fila i termini, tutti sostantivi, che appaiono in posizione forte in apertura di ogni strofa, si ottiene una sorta di formula esplicativa del messaggio che sottende l’intera composizione: una ‘consegna’ («Consigna», v. 1) è la chiave («Llave», v. 4) che apre il mistero dell’approdo dell’io ad un «Lugar» (v. 7) che è il luogo, lo spazio, infinito ma esplorabile, della creazione. L’effetto ‘discorsivo’, inoltre, sembra favorito e accresciuto dall’elemento strutturale delle terzine di endecasillabi con rima assonante fissa nei soli versi dispari, grazie al quale il ritmo risulta cadenzato su intervalli molto regolari; ogni endecasillabo, inoltre, costituisce un nucleo di

(Continúa en la página 67)